Mag 31, 2011 - Senza categoria    8 Comments

Il Mio Libro – Capitolo 3

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io

e

nonno

Dante

 

 

 

CAPITOLO 3        LE GALLINE        

 

“Paolo, appena hai terminato di mangiare esci e controlla il vigneto dell’uva bianca, se vedi qualche gallina scappata dal recinto mangiare i chicchi, chiamami”.   Appena inghiottito l’ultimo boccone del pranzo, mi precipitai fuori volando sui gradini.   Se il nonno mi diceva di fare qualcosa per lui, eseguivo alla lettera.   Seduto vicino al vaso dei gerani rossi e gialli della zia, controllavo il filare dell’uva da tavola che tutti chiamavano uova di gallo, era buonissima e con grandi chicchi succulenti.   Stavo in posa come il mio Reno quando fiutava la preda e neanche il sole cocente poteva distrarmi dal mio compito.   Appena vidi una grande gallina bianca a cui seguiva un’altra beccare l’uva, corsi dentro casa senza neanche respirare e chiamai ‘nonno…nonno le galline mangiano l’uva’, lui si alzò di scatto dalla sedia, prese il fucile appeso alto sulla parete della porta d’ingresso, con le chiavi aprì il cassetto della credenza in salotto, raccolse due cartucce da caccia di colore rosso e le inserì nelle canne, uscì dalla porta, puntò la doppietta in direzione delle galline, mise in carica i cani e premette i grilletti “bumm…bumm”.   Portai le mani alla bocca, spalancai gli occhi e guardai le galline colpite in pieno in una nuvola di piume svolazzanti, poi rivolsi lo sguardo a mio nonno e tra paura ed orgoglio, mi avvicinai alla sua gamba sinistra abbracciandola mentre mia nonna diceva qualcosa molto contrariata.   Il giorno dopo si mangiò arrosto e lesso…con condimento di pallini.”  

 

Ammiravo mio nonno Dante, lui parlava poco ma nessuno osava contrariarlo.  Quando decideva qualcosa doveva essere fatto.   Mi voleva tanto bene, con lui andavo a caccia e a pesca, mi raccontava degli uccelli e dei pesci, come riconoscerli e catturarli.   Si trascorrevano lunghe ore nel capanno fatto di frasche, con una piccola feritoia per osservare l’arrivo di merli, fringuelli e tordi.   Sparava solo a quelli più grossi, mi spiegava, perché riteneva giusto che i piccoli giovani potessero vivere la loro vita.   Mi insegnò come usare il coltellino da caccia per intagliare la corteccia di un bastone raffigurando immagini, figure geometriche o spirali, costruire un arco e le frecce oppure una fionda.   Mi prendeva per mano a passeggiare nei campi, spiegandomi delle stagioni, delle semine e dei raccolti.   A volte lo osservavo quando, assorto, rimaneva in silenzio con lo sguardo fisso sull’orizzonte, quasi a scrutare il futuro, mentre il fumo della sigaretta gli accarezzava il viso e si consumava spegnendosi fra le dita.   Fumava le “Nazionali” senza filtro,   il pollice, l’indice e medio, della sua mano sinistra erano gialle dalla nicotina e vicino all’unghia nere dalle bruciature, così anche i baffi a seguire il labbro superiore.   I suoi occhi scuri incutevano rispetto ma nel contempo i lineamenti del viso erano sereni.   Mio papa’ somigliava molto a lui ed io con loro mi sentivo al sicuro.    Ho tra i miei ricordi un episodio divenuto motivo di ilarità ogni qualvolta lo si racconti.   Tutto era pronto per la mietitura del grano, quando un brutto temporale ci costrinse tutti a rientrare in casa, il forte vento alzava la polvere e le nuvole scurissime minacciavano la grandine.   Posti al sicuro gli animali, si chiusero i portoni e balconi delle stalle e della casa, lasciando uno spiraglio solo in cucina per poter vedere quello che si preannunciava un disastro.   Mia nonna, le zie, la mamma accesero alcune candele benedette ed iniziarono a pregare innanzi l’immagine della Madonna.    Anch’io stavo vicino a loro in ginocchio, ma il fragore del vento, l’inveire degli uomini assunti per l’occasione, i braccianti, Livio, Mariano, mio padre, lo zio Aldo, i proprietari della trebbia e mio nonno maledivano e bestemmiavano per quel temporale che, se fosse arrivato poche ore dopo, non avrebbe arrecato danno al raccolto.   Poi iniziò a piovere e grandinare e tutti erano agitatissimi, a quel punto mi alzai e avvicinandomi al nonno bestemmiai come tutti loro alzando il pugno contro il temporale, mia nonna con le mani congiunte mi disse “nooo…Paolino, non bestemmiare altrimenti il Signore ci punirà”. Ci fu un momento di silenzio…poi tutti risero fragorosamente e da allora mi chiamarono ometto.