Tagged with " libro"
Mar 17, 2013 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Il Mio Libro

Il Mio Libro

angeli (13).jpg

 

 

 

 

 

Me ne sto seduto sulla sabbia a guardare il tiepido mare d’estate che, onda dopo onda, mi si avvicina. Ancora con il casco in testa, cerco una ragione per continuare a vivere. Terminato l’orario di servizio, presso l’ufficio anagrafe di Mestre, ho lasciato che la moto mi portasse dove la tristezza mi aspettava. La meta era sempre lui, il Mare. Un posto dove lo sguardo non incontra ostacoli, ma solo una sottile linea, quasi indistinta, di un incontro impossibile tra l’azzurro ed il blu. Laddove si possono interporre le similitudini esistenziali, senza il malessere di giudizi affrettati e inutili spiegazioni stereotipate. Momenti nel quale si precipita nel buio della malinconia, appiattita da un’inspiegabile, morbosa, volontà di non risalire e provare dolore, quanto più possibile. Con gli stivali, pantaloni e giacca frangiata di pelle, guanti e fazzoletto legato al collo, non provo alcun fastidio al colare delle gocce di sudore sul viso e su tutto il corpo. La gola serrata dalla rabbia litiga con il respiro, le mandibole intorpidite maltrattano i denti e la scarsa salivazione m’impedisce di deglutire.  Devo andare in dialisi. NO! Non ne posso più. Salgo di scatto sulla mia Kawasaki, l’accendo, inserisco la prima e apro prepotentemente il gas. Per un lungo tratto d’asfalto la ruota anteriore resta sospesa. Sfreccio per il lungomare del Cavallino a 140 kmh. La vista è annebbiata dalle lacrime e il cuore sembra impazzito. Il motore urla la mia inudita sofferenza. Percorro la tangenziale mestrina a 180 tra auto e camion. Sono sulla statale Romea a 210 kmh e le buche sembrano calci di mulo. Sono oltre Chioggia. Finisce la benzina, faccio il pieno e riprendo una corsa contro me stesso. Mi fermo a Ravenna in un bar, mi siedo senza togliermi nulla. Faccio fatica ad accendermi una sigaretta tanto tremano le mani. Aspiro profondamente la prima boccata di fumo e l’agitazione aumenta. La giovane ragazza del bar si avvicina e con voce delicata mi chiede “prendi qualcosa?” la guardo intensamente, quasi con astio, dietro gli occhiali scuri “si, gin tonic ghiacciato”. La guardo mentre si allontana. I suoi biondi capelli, appena arricciolati, sono spostati da un lato dal vento, la camicetta bianca sopra i jeans si solleva appena facendo intravvedere le sue forme rotonde. Posa il bicchiere sul tavolino e per un attimo mi guarda con gentilezza. Quelle verdi pupille incastonate nei suoi occhi bianchi, emanano luce propria sulla pelle del viso appena abbronzata. Le chiedo “puoi sederti con me qualche minuto?” non risponde e si siede. Mi levo il casco e gli occhiali “come ti chiami?” ripose il bloc notes e la biro sul tavolino in allumino “sono Letizia, ma non ho molto tempo e il padrone se mi vede…” la sua voce leggera proveniva dal movimento delle sue sensuali labbra disegnate da una natura benevola “Letizia, non preoccuparti, non ti tratterrò troppo, volevo ringraziarti” e lei “ringraziarmi di cosa, ma devi andare subito?” – “non ho molto tempo ora che ti ho conosciuta” – “io stacco tra un’ora, se mi aspetti…” – “mi piacerebbe davvero molto ma, tu non puoi saperlo, non so nemmeno come possa essere arrivato qui, so solo che è cambiato tutto” – “sei un po’ misterioso, non mi hai detto il tuo nome” – “oh, scusa hai ragione, Paolo, mi chiamo Paolo” – “dove abiti? – “a Mira, vicino Venezia” – “e dove stai andando?” – “se te lo dico non mi crederesti” – “beh, di gente ne vedo tanta col mio lavoro, ma tu, sei diverso, dimmi pure ti crederò” – “che ore sono, le 15 e 15, poco più di un’ora fa ero a Jesolo, ora mi vedi, sono qui, e devo ancora ringraziarti, perché per me sei un angelo” – “hahaha, adesso non adularmi, ma hai corso come un pazzo! Piuttosto, spiegati” – “volevo andarmene dalla vita, l’intenzione era di andare avanti, sempre più in là, ma tu mi hai fermato” – “non so se ho capito bene…” si alza e mi bacia sulla bocca “ma un angelo non può baciare e qualunque sia il motivo per cui sei qui, se lo vuoi, io sarò il tuo angelo” se ne rientra al bar velocemente. Sono estasiato. Aspetto qualche minuto, poi chiamo il centro dialisi “ciao Lucia sono Paolo, c’è un dottore per cortesia?” mi risponde il dott. Lucatello “dottore, stavo facendo una cazzata, sono a Ravenna devo venire in dialisi, ci sono problemi?” qualche secondo di silenzio “Tasinato, sbrigati, ti aspettiamo”. Mi sento sollevato. Entro nel locale per pagare, l’uomo alla cassa mi dice l’importo, prima di uscire “porti i miei saluti a Letizia, ha una cameriera davvero brava” mi guarda incuriosito “quale Letizia, quale cameriera?” – “la ragazza che mi ha portato al tavolo la bevanda” – “guardi che il bicchiere se l’è preso lei al banco”, il cuore per un istante si ferma. MA COME PUÓ ESSERE!

tp

 

Gen 29, 2012 - Senza categoria    4 Comments

Il Mio Libro Capitolo 11

Butterfly_and_Flower.jpg

 

 

Il Sole e la Luna

 

 

IL SOLE E LA LUNA

 

Una cantina trasformata in alcova, due piccole finestre, tendaggi per un’atmosfera soffusa, pareti dipinte a rappresentare un tramonto e fiori che si arrampicano nei pochi mobili presenti, candele profumate alla vaniglia che si confondevano col profumo del vino moscato, luci colorate agli angoli della stanza di sei metri per quattro, una stufa a gpl per riscaldare, il pavimento di cemento scuro lucidato,  un letto singolo e…noi.    Impazienti, timidi, desiderosi, vicini, intrecciati, eccitati, impreparati, innamorati e…la nostra giovane nudità.    NOI.    I baci sul collo, sul mento, sui lobi, sugli occhi, sulla fronte, sul naso, sulle spalle, sulla schiena, sulle ginocchia e le caviglie.    NOI.   Piccoli, immaturi, curiosi, inesperti e le carezze, sulle mani, sulle braccia, sul viso, nei capelli, a sfiorare le labbra, le sopraciglia, sul cuore, lungo i fianchi, sulle cosce, a sfiorare il pube, l’ombelico, il seno.    Noi, avvolti nella passione, gli occhi aperti alle emozioni, l’udito teso ad ascoltare le sensazioni, l’olfatto per inebriarci di NOI, il tatto per scoprire il piacere, la pelle ed il calore della sensualità.    NOI a scambiarci noi, nella vertigine dei respiri, dei gemiti, dei si e le mani che cercano, le dita che esplorano, la bocca che maliziosa riporta alla mente sogni erotici inconfessati, abbracci che straziano i sensi, pensieri che emergono dall’impensabile, ventri che s’inarcano, capezzoli mai sazi.    Ancora noi, a giocare coi nostri sessi, a parlare e sorridere mentre il pudore muore agli sguardi, a scambiarci infiniti “ora tocca a me”, a lasciarci andare agli umori dei nostri corpi quando morbidi petali d’amore si posano stanchi sulla tenerezza dell’orgasmo.    Sempre noi, in una magica sincronia ascoltando i battiti dei cuori che piano ritrovano riposo nei toraci che, come mai, si appartengono.    Si, NOI, morenti di vita, vuoti di pienezza e di nuovo pronti a ricominciare l’animazione dei desideri.   Unicamente NOI, con le promesse di non lasciarci mai, così sicuri dei pogetti da realizzare in futuro, condotti per mano dal destino al confine tra adolescenza e maturità, decisi di lanciarci nel vuoto per volare in un’unica vita.   NOI che ad ogni incontro sembrava il primo, che ogni strumento suonava armonie a nostra immagine, certi oramai che il sole, finalmente, è riuscito ad abbracciare la luna sopra un cielo, troppo piccolo per contenere…NOI.

 

 

 

Noi Due

 

Noi due per mano

due rondini nel cielo

le foglie cadono e rinascono

un treno corre veloce

i nostri corpi una sola cosa

l’edera su di un muro

il tuo volto in un sogno

il vento tra le foglie

una mano coglie una rosa

un gabbiano si tuffa nel mare

la mia mano sul tuo corpo

un aereo sfiora L’universo

un bacio sulle tue labbra

un’ape si posa su un fiore

mille immagini si fondono

tutto intorno ora gira

gli occhi si socchiudono

le mani più non tremano

un passero si posa stanco

il freddo intorno a me

.. .solo fantasia?

Besos33[1].jpg

Mag 31, 2011 - Senza categoria    8 Comments

Il Mio Libro – Capitolo 3

io e nonno Dante.jpg

 

io

e

nonno

Dante

 

 

 

CAPITOLO 3        LE GALLINE        

 

“Paolo, appena hai terminato di mangiare esci e controlla il vigneto dell’uva bianca, se vedi qualche gallina scappata dal recinto mangiare i chicchi, chiamami”.   Appena inghiottito l’ultimo boccone del pranzo, mi precipitai fuori volando sui gradini.   Se il nonno mi diceva di fare qualcosa per lui, eseguivo alla lettera.   Seduto vicino al vaso dei gerani rossi e gialli della zia, controllavo il filare dell’uva da tavola che tutti chiamavano uova di gallo, era buonissima e con grandi chicchi succulenti.   Stavo in posa come il mio Reno quando fiutava la preda e neanche il sole cocente poteva distrarmi dal mio compito.   Appena vidi una grande gallina bianca a cui seguiva un’altra beccare l’uva, corsi dentro casa senza neanche respirare e chiamai ‘nonno…nonno le galline mangiano l’uva’, lui si alzò di scatto dalla sedia, prese il fucile appeso alto sulla parete della porta d’ingresso, con le chiavi aprì il cassetto della credenza in salotto, raccolse due cartucce da caccia di colore rosso e le inserì nelle canne, uscì dalla porta, puntò la doppietta in direzione delle galline, mise in carica i cani e premette i grilletti “bumm…bumm”.   Portai le mani alla bocca, spalancai gli occhi e guardai le galline colpite in pieno in una nuvola di piume svolazzanti, poi rivolsi lo sguardo a mio nonno e tra paura ed orgoglio, mi avvicinai alla sua gamba sinistra abbracciandola mentre mia nonna diceva qualcosa molto contrariata.   Il giorno dopo si mangiò arrosto e lesso…con condimento di pallini.”  

 

Ammiravo mio nonno Dante, lui parlava poco ma nessuno osava contrariarlo.  Quando decideva qualcosa doveva essere fatto.   Mi voleva tanto bene, con lui andavo a caccia e a pesca, mi raccontava degli uccelli e dei pesci, come riconoscerli e catturarli.   Si trascorrevano lunghe ore nel capanno fatto di frasche, con una piccola feritoia per osservare l’arrivo di merli, fringuelli e tordi.   Sparava solo a quelli più grossi, mi spiegava, perché riteneva giusto che i piccoli giovani potessero vivere la loro vita.   Mi insegnò come usare il coltellino da caccia per intagliare la corteccia di un bastone raffigurando immagini, figure geometriche o spirali, costruire un arco e le frecce oppure una fionda.   Mi prendeva per mano a passeggiare nei campi, spiegandomi delle stagioni, delle semine e dei raccolti.   A volte lo osservavo quando, assorto, rimaneva in silenzio con lo sguardo fisso sull’orizzonte, quasi a scrutare il futuro, mentre il fumo della sigaretta gli accarezzava il viso e si consumava spegnendosi fra le dita.   Fumava le “Nazionali” senza filtro,   il pollice, l’indice e medio, della sua mano sinistra erano gialle dalla nicotina e vicino all’unghia nere dalle bruciature, così anche i baffi a seguire il labbro superiore.   I suoi occhi scuri incutevano rispetto ma nel contempo i lineamenti del viso erano sereni.   Mio papa’ somigliava molto a lui ed io con loro mi sentivo al sicuro.    Ho tra i miei ricordi un episodio divenuto motivo di ilarità ogni qualvolta lo si racconti.   Tutto era pronto per la mietitura del grano, quando un brutto temporale ci costrinse tutti a rientrare in casa, il forte vento alzava la polvere e le nuvole scurissime minacciavano la grandine.   Posti al sicuro gli animali, si chiusero i portoni e balconi delle stalle e della casa, lasciando uno spiraglio solo in cucina per poter vedere quello che si preannunciava un disastro.   Mia nonna, le zie, la mamma accesero alcune candele benedette ed iniziarono a pregare innanzi l’immagine della Madonna.    Anch’io stavo vicino a loro in ginocchio, ma il fragore del vento, l’inveire degli uomini assunti per l’occasione, i braccianti, Livio, Mariano, mio padre, lo zio Aldo, i proprietari della trebbia e mio nonno maledivano e bestemmiavano per quel temporale che, se fosse arrivato poche ore dopo, non avrebbe arrecato danno al raccolto.   Poi iniziò a piovere e grandinare e tutti erano agitatissimi, a quel punto mi alzai e avvicinandomi al nonno bestemmiai come tutti loro alzando il pugno contro il temporale, mia nonna con le mani congiunte mi disse “nooo…Paolino, non bestemmiare altrimenti il Signore ci punirà”. Ci fu un momento di silenzio…poi tutti risero fragorosamente e da allora mi chiamarono ometto.

Mar 15, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su il mio libro

il mio libro

bimbo e la strada.jpg

 

 

un cammino faticoso

 

 

 

CAPITOLO 1     RADIOGRAFIA ADDOME

Salendo un gradino alla volta per le scale del vecchio ospedale di Padova,  ci accolse un forte odore di disinfettante mentre  mia madre mi teneva la mano nella penombra  di quei pochi scalini che portavano al reparto di radiologia.

Dopo le poche formalità burocratiche mi accompagnarono in una stanza bianca arredata di un tavolino, una sedia e un piccolo armadietto con dei medicinali e qualche strumento medico.   Un’infermiera mi adagiò sul lettino da visite e mise sulla mia pancia un pallone ovale, il medico disse di stare tranquillo così avrebbe fatto presto.  Mia mamma, poco lontana da me, assistette quando appoggiarono sul pallone, più grande del mio addome, un macchinario dal lungo braccio e col finire una specie di scatola.   Questa si poggiò su quello strano palloncino e premette così forte da sentirmi schiacciare.   Spingeva…e spingeva, non riuscivo a respirare… avevo voglia di piangere e non trovavo l’aria per espandere il torace “fermo…fermo così” ordinò il medico, le lacrime scendevano già…il fiato non veniva…e neanche la voce…nei miei occhi il terrore…toglielo toglielo…allungavo la mano verso mia mamma….aiuto…AIUTAMI!

 

Mi sveglio, mi guardo attorno, sono a casa…ancora lo stesso sogno.

Mi alzo, sono sudato e con addosso un fastidioso malessere, vado a fare pipi,  guardo l’urina uscire e vorrei che assieme se ne andassero anche i ricordi della mia sofferenza.  Fa un po’ freddo, mi infilo piano sotto le coperte, Marghi, mia moglie, mi chiede “tutto bene?”, rispondo “si, tutto bene…dormi pure”.

Mi prende la mano come per dire “dimmi”, lei capisce dal tono della voce se qualcosa non va, ma sto in silenzio e gliela stringo.  Non riesco a riprendere sonno.  La mente riprende il cammino dei ricordi.

 

Avevo poco più di due anni quando mi fecero quell’esame per potere radiografare le mie reni, è come una foto in bianco e nero e per cornice la mia testa.  Fui ricoverato e di quel periodo ho poche altre immagini ancora vive in me, quella di un uomo che tossiva e dalla bocca usciva sangue, medici e infermieri stavano attorno a lui, ma poi qualcuno mi prese il braccio e mi allontanò da quella scena. Non ho mai saputo cosa gli fosse capitato.   Forse un incidente stradale.

Una stanza con molti letti occupati da altrettante persone e una vetrata dove potevo vedere le cime degli alberi di giorno, mentre di notte era buia e la sola luce proveniva dal corridoio.  Il letto dove stavo era vicino alla porta ed era munito di spondine laterali, infatti dovevo rimanere immobile, tra le mie gambe avevo un bottiglia che raccoglieva la pipì proveniente dal catetere infilato nel mio pisello.  Ricordo persino il rumore dei passi quando l’infermiera del turno di notte veniva per cambiare il raccoglitore pieno, chiamata da mia mamma o dalla nonna…non so bene se quella paterna o materna.     L’episodio non ebbe un motivo certo nei riscontri clinico-diagnostici, l’ipotesi dei medici era “blocco uretrale con reflusso renale”, il fatto spiegava l’infezione.