Archive from marzo, 2011
Mar 23, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su ANED

ANED

simbolo dvd.JPGAssociazione

Nazionale

Emo – Dializzati

e Trapiantati

 

L’A.n.e.d. si definisce una O.N.L.U.S., ma nell’ambito delle associazioni di volontariato è l’unica che si autosostiene con l’iscrizione individuale dei soci nefropatici.   Proprio tale particolarità la rende indipendente da ogni influenza esterna.

 

Essa si struttura sul territorio nazionale con una sede legale a Milano, un Comitato rappresentativo Regionale e con i Delegati presenti nei centri dialisi.

 

Nei primi anni settanta, un gruppo di malati fondarono l’associazione intuendo le difficoltà dei nefropatici ad affrontare una dialisi agli esordi della conoscenza medico-scientifica in relazione alla difesa, non solo dei diritti sociali ed umani, ma della stessa vita. 

 

Si possono distinguere due tracce principali, quella istituzionale-informativa e quella operativa-divulgativa e detto così sembra davvero poco, ma posso assicurare che il lavoro non manca.

 

Faccio degli esempi, ci si occupa di dialisi e trapianti, donazioni, terapie, farmaci, esenzioni, diritti sociali, prevenzione ed ogni altro argomento collegato alle patologie renali.

 

La situazione sanitaria in continua evoluzione in un contesto socio-economico non solo nazionale, l’inserimento nel commercio farmacologico di nuove realtà politico-geografiche, sono da osservare attentamente su tutto il territorio italiano.

 

Oltre i diritti e doveri, contemplati nello Statuto Associativo, ci sono dei principi da difendere.   Infatti, da oltre un decennio l’Aned ha focalizzato la propria azione sul riconoscimento del paziente nefropatico, quale persona-cittadino portatore dei valori più profondi della vita.   Gli eventi intercorsi, dalla sua nascita, la dedizione profusa da tanti nostri amici/amiche, oggi malinconicamente assenti e sopra tutti la dott.ssa Franca Pellini (presidente storico, promotrice e fondatrice dell’associazione), ha dato stabilità all’Aned tanto da percorrere in linea trasversale un’Italia dalla politica “dimenticona”, lontana dai problemi di noi malati e dai cittadini tutti.   Tanto da non trovare in elenco alle finanziarie la voce “dialisi” o “nefropatie”.

 

Gli strumenti associativi realizzati per chiedere fortemente norme e regolamenti applicabili in ogni regione e centro dialisi, sono stati capaci di resistere, ancora oggi, ai continui spezzettamenti dell’assistenza sanitaria e dalla gestione tipicamente privatistica indirizzata al bilancio-profitto.

 

Quale altra struttura culturale, politica o del volontariato può vantare un periodo di così ampia progettazione vincolata alla persona?   Io non la conosco ma, ancor di più, mi dispiace che la stessa Aned non sia conosciuta come meriterebbe.  

 

Riassumendo l’A.N.E.D.  O.n.l.u.s. è:

 

_  l’associazione per la difesa dei diritti del malato nefropatico;

_  portatrice dei valori fondati sulla solidarietà e l’umana esistenza;

_  l’unica struttura associativa formata, condotta e sostenuta dagli stessi malati;

_  promotrice della cultura della donazione e del trapianto;

_  riferimento univoco per ogni problematica socio-sanitaria per i pazienti ma anche per le istituzioni politico-amministrative;

 

e da non dimenticare:

 

_  l’unitarietà associativa ha prodotto stima e concretezza presso ogni governo (nazionale e locale);

_  ha sancito, con l’approvazione di norme specifiche, il principio dell’uguaglianza nei trattamenti

dialitico-assistenziali in Italia;

_  ha contribuito alle modifiche legislative sul trapianto e sui protocolli di assegnazione degli organi;

_  ha sviluppato e sollecitato la diffusione dell’informazione quale strumento per la prevenzione delle malattie renali;

_  dal 1970 ha superato forti cambiamenti politico-culturali mantenendo inalterata l’idea fondante ed innegabile del diritto alla salute;

 

a cura di Paolo Tasinato

 

 

Mar 15, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su il mio libro

il mio libro

bimbo e la strada.jpg

 

 

un cammino faticoso

 

 

 

CAPITOLO 1     RADIOGRAFIA ADDOME

Salendo un gradino alla volta per le scale del vecchio ospedale di Padova,  ci accolse un forte odore di disinfettante mentre  mia madre mi teneva la mano nella penombra  di quei pochi scalini che portavano al reparto di radiologia.

Dopo le poche formalità burocratiche mi accompagnarono in una stanza bianca arredata di un tavolino, una sedia e un piccolo armadietto con dei medicinali e qualche strumento medico.   Un’infermiera mi adagiò sul lettino da visite e mise sulla mia pancia un pallone ovale, il medico disse di stare tranquillo così avrebbe fatto presto.  Mia mamma, poco lontana da me, assistette quando appoggiarono sul pallone, più grande del mio addome, un macchinario dal lungo braccio e col finire una specie di scatola.   Questa si poggiò su quello strano palloncino e premette così forte da sentirmi schiacciare.   Spingeva…e spingeva, non riuscivo a respirare… avevo voglia di piangere e non trovavo l’aria per espandere il torace “fermo…fermo così” ordinò il medico, le lacrime scendevano già…il fiato non veniva…e neanche la voce…nei miei occhi il terrore…toglielo toglielo…allungavo la mano verso mia mamma….aiuto…AIUTAMI!

 

Mi sveglio, mi guardo attorno, sono a casa…ancora lo stesso sogno.

Mi alzo, sono sudato e con addosso un fastidioso malessere, vado a fare pipi,  guardo l’urina uscire e vorrei che assieme se ne andassero anche i ricordi della mia sofferenza.  Fa un po’ freddo, mi infilo piano sotto le coperte, Marghi, mia moglie, mi chiede “tutto bene?”, rispondo “si, tutto bene…dormi pure”.

Mi prende la mano come per dire “dimmi”, lei capisce dal tono della voce se qualcosa non va, ma sto in silenzio e gliela stringo.  Non riesco a riprendere sonno.  La mente riprende il cammino dei ricordi.

 

Avevo poco più di due anni quando mi fecero quell’esame per potere radiografare le mie reni, è come una foto in bianco e nero e per cornice la mia testa.  Fui ricoverato e di quel periodo ho poche altre immagini ancora vive in me, quella di un uomo che tossiva e dalla bocca usciva sangue, medici e infermieri stavano attorno a lui, ma poi qualcuno mi prese il braccio e mi allontanò da quella scena. Non ho mai saputo cosa gli fosse capitato.   Forse un incidente stradale.

Una stanza con molti letti occupati da altrettante persone e una vetrata dove potevo vedere le cime degli alberi di giorno, mentre di notte era buia e la sola luce proveniva dal corridoio.  Il letto dove stavo era vicino alla porta ed era munito di spondine laterali, infatti dovevo rimanere immobile, tra le mie gambe avevo un bottiglia che raccoglieva la pipì proveniente dal catetere infilato nel mio pisello.  Ricordo persino il rumore dei passi quando l’infermiera del turno di notte veniva per cambiare il raccoglitore pieno, chiamata da mia mamma o dalla nonna…non so bene se quella paterna o materna.     L’episodio non ebbe un motivo certo nei riscontri clinico-diagnostici, l’ipotesi dei medici era “blocco uretrale con reflusso renale”, il fatto spiegava l’infezione.